Pubblicato in: Logopedia e parole

Quando il bambino non parla…

La comparsa delle prime parole è una delle tappe dello sviluppo più emozionanti.
Tutti i genitori aspettano con ansia il meraviglioso momento in cui quel mare di suoni e vocalizzi prodotti dal bimbo, la-la-la-la, apapapapa, ma-ma-ma-ta-ta,  si fondono in un’unica parola, a significato.
“Mamma” per alcuni, “papà” per altri, ma anche “pappa”, “nonno” e via dicendo.
Appare tutto cosi magico e straordinariamente naturale.

Cosa succede, però, quando il bambino non parla?

Purtroppo alcuni bambini sembrano non avere alcuna intenzione di utilizzare il linguaggio verbale ed eludendo le aspettative dei loro genitori proseguono ad esprimersi tramite gesti e suoni per comunicare.
Sono quei bambini che molti definiscono“pigri”.

Ecco, quindi, che nella mente di mamma e papà cominciano a farsi strada dubbi e domande, finché non prende vita la corsa allo specialista, che non sempre porta ad avere i chiarimenti ricercati.
“Non si preoccupi parlerà!!” è una delle risposte più in voga, accompagnata da “Ognuno ha i suoi tempi!!” e “Prima o poi parlano tutti!”

Proviamo a fare un po’ di chiarezza cercando di capire meglio cosa bisogna imparare ad ossevare e soprattutto quali sono i tempi giusti per intervenire.

Le prime parole

Le prime parole compaiono solitamente intorno ai 12 mesi, seguendo la fase della “lallazione” (a partire dai 6 mesi) durante la quale il bambino allena i propri organi fono- articolatori producendo suoni e sillabe, sempre più varie.
Aiutare il bambino a sviluppare il linguaggio, in particolare nel primo anno di vita, significa non solo stimolarlo a produrre suoni, ma ancor prima stimolarlo e motivarlo a comunicare.
Gli adulti per primi devono imparare a  guardare i gesti del bambino, ascoltare le parole e tentare sempre di interpretare cosa vuole dire, condividere e rendere divertente la comunicazione, imitare e ripetere quello che sta dicendo.

 Le frasi

Tra i 18 e i 24 mesi il vocabolario del bambino si arricchisce di nuovi vocaboli e questo gli permette di combinare due o tre parole insieme, producendo delle piccole frasi come “Voglio pappa” “mamma bua”.
A 36 mesi il bambino è in grado di produrre frasi sempre più lunghe e complesse, utilizzando articoli, pronomi, aggettivi.

 Il linguaggio come gli adulti

Il bambino di 2-3 anni usa il linguaggio per parlare e apprendere il mondo circostante.
Anche i suoni si perfezionano e gli errori di articolazione che venivano commessi a 24 mesi man mano scompaiono.
Intorno ai 4 anni il bambino si mostra capace di parlare “come un adulto”, producendo parole chiare e comprensibili a tutti, articolando correttamente i suoni della lingua, con frasi adeguate al messaggio che vuole comunicare.
E’ importante in questo periodo che l’adulto permetta al bambino di parlare di un argomento, prendendosi il tempo necessario per ascoltarlo e rispondere.

Come posso fare per capire se il bambino è in ritardo?

Esistono attualmente precisi indicatori di rischio che possono segnalare la presenza di un ostacolo o una difficoltà nell’acquisizione del linguaggio:

– A 12 mesi, se il bambino mostra difficoltà di comprensione del linguaggio; se non compare la fase della lallazione, se il bambino non utilizza alcun gesto per comunicare.

– A 24 mesi se il bambino produce meno di 10 parole e ha difficoltà di comprensione.

– A 30 mesi se produce meno di 50 parole e non inizia a combinare insieme due parole, per esempio: ”voglio palla!” e ha difficoltà di comprensione.

– oltre i 36 mesi se il linguaggio del bambino non è comprensibile e commette molti errori di pronuncia

Non è mai troppo presto per ottenere delle indicazioni preziose circa lo sviluppo del bambino:  un ritardo di linguaggio trascurato e non colto in tempo potrebbe evolversi in un disturbo di linguaggio vero e proprio e a sua volta un disturbo di linguaggio non trattato tempestivamente può avere importanti ripercussioni negli apprendimenti scolastici.
Imparare a riconoscere le tappe evolutive e gli indicatori di rischio permette di muoversi tempestivamente, senza aspettare oltre nella speranza che il disturbo si risolva da sé.

 

 

Pubblicato in: Scuola-menti-amo

Facciamo i compiti insieme?

Aiuto! I compiti!

Ci risiamo! Anche oggi pomeriggio è arrivata la tanto odiata routine dei compiti.

Al rientro dalla scuola, tutti i giorni o il fine settimana,  la pausa di relax e gioco pomeridiano è destinata a terminare perchè i compiti sono lì che aspettano. Diciamoci la verità, nessuno è felice di rimettersi a studiare, bambini, ragazzi e neanche i genitori che vivono spesso questo momento come una lotta all’ultimo sangue con i propri figli.

“Ti ho detto che devi fare i compitiiii” , “Metti via la play station che devi studiare”, “Vuoi spegnere quella televisioneee e iniziare a fare matematica!?”.

Perchè i compiti a casa?

I compiti sono una grande noia, ma purtroppo sono altrettanto importanti  per gli studenti, perchè permettono di fissare i concetti imparati a scuola, di memorizzare e rendere automatici dei processi in fase di acquisizione (come la lettura, le regole ortografiche, i fatti numerici), di studiare gli argomenti di materie come storia, geografia, scienze.

In gruppo è più facile!

E’ stato dimostrato che studiare in gruppo costituisce un valido supporto all’apprendimento e favorisce la motivazione nello svolgere i compiti scolastici.

Nel gruppo non sono più da solo, con i miei compiti e le mie difficoltà, ma mi confronto con gli altri. Scopro che ognuno ha le proprie aree di forze e i propri ostacoli da superare, imparo nuovi metodi di studio e strategie per fare meglio e prima.

Come funzionano i gruppi?

Il nostro studio organizza piccoli gruppi di Aiuto Compiti, composti da bambini o ragazzi (da 2 a 5/6 persone massimo), strutturati in base all’età e all’omogeneità delle competenze.

Abbiamo riscontrato che fare i compiti insieme, supervisionati da specialisti del settore ( terapisti) che aiutano ad essere autonomi e suggeriscono al tempo stesso tecniche e strategie di apprendimento efficaci, permette ai bambini di vivere la routine dei compiti come un momento di crescita e , incredibilmente, di divertimento.

Quando venire

I gruppi sono tenuti nei pomeriggi di lunedi – mercoledi e giovedi .

Si può decidere di partecipare ad un solo gruppo pomeridiano o di venire anche per più pomeriggi, in base ai propri impegni e alle singole necessità.

Valutando l’età del bambino e il livello scolastico, lo inseriremo nel gruppo più idoneo.

Per informazioni potete come sempre contattarci tramite email  passieparole@gmail.com o al numero 0687248224

Allora che fai, vieni anche tu a fare i compiti con noi?!

 

 

Pubblicato in: Neuropsicomotricità e passi

Sono Filippo e sono autistico

Nel mio lavoro ho incontrato tanti bambini e avuto a che fare con tantissimi disturbi diversi.
La cosa affascinante è spesso che, nonostante sui libri sembri tutti catalogato, ogni volta ti stupisci di come alcune cose si ripetano e ti diano conforto nel sapere come interpretare, muoverti, agire e di come tante, invece, siano sempre diverse.
Che poi è l’aspetto che più di tutti ti fa capire, ogni giorno, che non esistono normodotati e disabili: esistono solo le persone. E alcuni dei bimbi che incontri, ti restano dentro per sempre.
Oggi quindi ti racconto di lui, il “mio” Filippo. Ma voglio provare a farlo in modo diverso, voglio provare a farlo dalla sua voce, come se fosse lui a raccontarsi.
Prima però è doverosa una parentesi. Ti porto per mano a cercare di capire un po’ meglio un disturbo importante.

Uno dei disturbi più affascinanti, chiaramente parlo da clinico, è almeno per me l’autismo. Se ne sente parlare tantissimo, ma che vuol dire davvero?

Autismo, un viaggio di assenze e presenze
L’autismo fa parte della famiglia dei “Disturbi generalizzati dello sviluppo”, in gergo neuropschiatrico si usa la sigla DGS. Sotto a questo cappello, se così vogliamo chiamarlo, si sistemano moltissime sfumature di questo disturbo dalle caratteristiche a volte terribili, a volte bizzarre.
Quindi possiamo riconoscere fondamentalmente tre grandi gruppi:
a basso funzionamento, in cui le competenze del bambino sono fortemente compromesse e associate ad un ritardo mentale grave o ai limiti del grave
a medio funzionamento, in cui invece abbiamo appunto una compromissione media/lieve
ad alto funzionamento o Asperger, in cui i bambini sono spesso definiti bimbi dal comportamento bizzarro ed hanno competenze cognitive alte, sebbene non siano comunque adeguati alla cosìdetta norma.
Hai mai visto il film “A beautiful mind” sul matematico John Nash? Ecco, lui era un Asperger geniale.
Quello di cui voglio raccontarti oggi, è proprio lui: l’autismo ad alto funzionamento.

Che vuol dire essere autistici
Abbi un pochino di pazienza, a breve arrivo anche a Filippo. Ma prima penso sia giusto spiegare un pochino chi sia e presentarlo, partendo da quella che purtroppo è la sua etichetta: autismo.
I bambini autistici, chiaramente a seconda della compromissione, sono bambini che principalmente manifestano comportamenti bizzarri:
non guardano negli occhi o lo fanno poco
– hanno una relazione con l’altro caratterizzata dalla tendenza all’isolamento, da una ricerca di contatto atipica, vengono definiti bambini “sfuggenti” (si avvicinano molto o per niente o utilizzano l’altro come mezzo per raggiungere uno scopo)
– tendono ad avere stereotipie motorie , quindi ripetono costantemente un movimento
– tendono ad essere ripetitivi, fino ad essere ossessivi, sia nella scelta dei giochi, di un cartone animato, nella preferenza di un oggetto, nel linguaggio, nell’alimentazione, con le persone. Se si interrompe questa loro ripetitività, a volte possono diventare anche molto aggressivi.
– spesso hanno difficoltà a livello percettivo, non sopportano alcune temperature, consistenze, di sporcarsi, di toccare qualcosa o essere toccati. Avviene a volte, purtroppo, anche con la mamma.
– a livello comunicativo, parlano poco, non hanno un linguaggio adeguato o anche in questo caso è bizzarro. Ripetono quello che dicono gli altri, faticano a parlare in prima persona, non comprendono i sottintesi e l’ironia.
Ti sto raccontando in breve e in minima parte l’universo di un disturbo che raccoglie e abbraccia molte sfumature, perchè voglio provare a raccontarti lui: Filippo. Ma voglio farlo in modo diverso, come ti accennavo.
Voglio provare a far finta che sia lui a raccontarti se stesso.
Vieni, ti presento Filippo. “Filippo? Vieni?”

Non vuoi!
È arrivata Alessandra, non vuoi Alessandra!
Ecco. E mi dice “Filippo, non si dice non vuoi, si dice non voglio!”. Lo ripeto “Non voglio Alessandra!”, non ho capito bene cosa significhi, ma glielo dico. Magari oggi mi lascia in pace.
Ho bisogno di muovere spesso le mani, le agito in aria. Mi piace! E mi piace guardarle, perché mi si incastra negli occhi tutto un movimento strano, e poi la luce va e viene veloce. Mi piace!
Quando in classe gli altri gridano forte io ho voglia di correre. E mentre corro, saltello un po’. E faccio anche quella cosa con le mani.
La maestra o Alessandra mi dicono di calmarmi. Alessandra forse lo fa meglio, perché si avvicina, mi stringe un pochino le spalle e mi dice di guardarla. Faccio tanta fatica a guardarla negli occhi, però lei mi parla piano e facile.
Mi dice poche parole, mi capisce un po’. E allora mi calmo. Ma spesso, prima, ho bisogno di mordermi la mano.

Quando viene Erika lo dico anche a lei, eh! “Non vuoi Erikaaa!” E lei mi dice la stessa cosa che mi dice Alessandra.
Lei mi fa leggere e scrivere, perché sono abbastanza bravo e so farlo, Alessandra invece mi fa disegnare, mi fa fare cose con le mani. E poi balliamo.
E quando balliamo sono felice, così tanto che mi mordo le mani!
È difficile, ma lei ha trovato dei video della Play Station, ci sta un bambino che balla e io devo fare uguale.
Quando sbaglio a mettere il piede, mi viene voglia di gridare e Alessandra mi aiuta. Qualche volta mi sgrida perché non sto attento, ma piano piano sto diventando bravo. Facciamo tanti balletti!
Riesco a fare meglio i movimenti, sto più attento nella stanza e la guardo meglio. Di più.
A casa con mamma, papà e mio fratello mi diverto. Mi piace parlare al telefono con papà quando non c’è.
Non mangio tante cose, mi piacciono le cose bianche.

Quando incontro le persone, mi piace chiedergli che macchina hanno. Lo chiedo sempre, ogni volta. Non le guardo molto, quando mi rispondono mi viene voglia di gridare e di mordermi le mani.
Con gli altri bambini mi piace stare, ma alcuni sono più carini e mi abbracciano o mi aiutano quando andiamo in giardino. C’è tanto spazio e mi sento un po’ confuso, come quando vado al centro commerciale.
Sono riuscito anche a fare delle recite a scuola!

Principalmente vivo in un mondo tutto mio, ma non lo fate spesso anche voi?