Pubblicato in: Neuropsicomotricità e passi

Sono Filippo e sono autistico

Nel mio lavoro ho incontrato tanti bambini e avuto a che fare con tantissimi disturbi diversi.
La cosa affascinante è spesso che, nonostante sui libri sembri tutti catalogato, ogni volta ti stupisci di come alcune cose si ripetano e ti diano conforto nel sapere come interpretare, muoverti, agire e di come tante, invece, siano sempre diverse.
Che poi è l’aspetto che più di tutti ti fa capire, ogni giorno, che non esistono normodotati e disabili: esistono solo le persone. E alcuni dei bimbi che incontri, ti restano dentro per sempre.
Oggi quindi ti racconto di lui, il “mio” Filippo. Ma voglio provare a farlo in modo diverso, voglio provare a farlo dalla sua voce, come se fosse lui a raccontarsi.
Prima però è doverosa una parentesi. Ti porto per mano a cercare di capire un po’ meglio un disturbo importante.

Uno dei disturbi più affascinanti, chiaramente parlo da clinico, è almeno per me l’autismo. Se ne sente parlare tantissimo, ma che vuol dire davvero?

Autismo, un viaggio di assenze e presenze
L’autismo fa parte della famiglia dei “Disturbi generalizzati dello sviluppo”, in gergo neuropschiatrico si usa la sigla DGS. Sotto a questo cappello, se così vogliamo chiamarlo, si sistemano moltissime sfumature di questo disturbo dalle caratteristiche a volte terribili, a volte bizzarre.
Quindi possiamo riconoscere fondamentalmente tre grandi gruppi:
a basso funzionamento, in cui le competenze del bambino sono fortemente compromesse e associate ad un ritardo mentale grave o ai limiti del grave
a medio funzionamento, in cui invece abbiamo appunto una compromissione media/lieve
ad alto funzionamento o Asperger, in cui i bambini sono spesso definiti bimbi dal comportamento bizzarro ed hanno competenze cognitive alte, sebbene non siano comunque adeguati alla cosìdetta norma.
Hai mai visto il film “A beautiful mind” sul matematico John Nash? Ecco, lui era un Asperger geniale.
Quello di cui voglio raccontarti oggi, è proprio lui: l’autismo ad alto funzionamento.

Che vuol dire essere autistici
Abbi un pochino di pazienza, a breve arrivo anche a Filippo. Ma prima penso sia giusto spiegare un pochino chi sia e presentarlo, partendo da quella che purtroppo è la sua etichetta: autismo.
I bambini autistici, chiaramente a seconda della compromissione, sono bambini che principalmente manifestano comportamenti bizzarri:
non guardano negli occhi o lo fanno poco
– hanno una relazione con l’altro caratterizzata dalla tendenza all’isolamento, da una ricerca di contatto atipica, vengono definiti bambini “sfuggenti” (si avvicinano molto o per niente o utilizzano l’altro come mezzo per raggiungere uno scopo)
– tendono ad avere stereotipie motorie , quindi ripetono costantemente un movimento
– tendono ad essere ripetitivi, fino ad essere ossessivi, sia nella scelta dei giochi, di un cartone animato, nella preferenza di un oggetto, nel linguaggio, nell’alimentazione, con le persone. Se si interrompe questa loro ripetitività, a volte possono diventare anche molto aggressivi.
– spesso hanno difficoltà a livello percettivo, non sopportano alcune temperature, consistenze, di sporcarsi, di toccare qualcosa o essere toccati. Avviene a volte, purtroppo, anche con la mamma.
– a livello comunicativo, parlano poco, non hanno un linguaggio adeguato o anche in questo caso è bizzarro. Ripetono quello che dicono gli altri, faticano a parlare in prima persona, non comprendono i sottintesi e l’ironia.
Ti sto raccontando in breve e in minima parte l’universo di un disturbo che raccoglie e abbraccia molte sfumature, perchè voglio provare a raccontarti lui: Filippo. Ma voglio farlo in modo diverso, come ti accennavo.
Voglio provare a far finta che sia lui a raccontarti se stesso.
Vieni, ti presento Filippo. “Filippo? Vieni?”

Non vuoi!
È arrivata Alessandra, non vuoi Alessandra!
Ecco. E mi dice “Filippo, non si dice non vuoi, si dice non voglio!”. Lo ripeto “Non voglio Alessandra!”, non ho capito bene cosa significhi, ma glielo dico. Magari oggi mi lascia in pace.
Ho bisogno di muovere spesso le mani, le agito in aria. Mi piace! E mi piace guardarle, perché mi si incastra negli occhi tutto un movimento strano, e poi la luce va e viene veloce. Mi piace!
Quando in classe gli altri gridano forte io ho voglia di correre. E mentre corro, saltello un po’. E faccio anche quella cosa con le mani.
La maestra o Alessandra mi dicono di calmarmi. Alessandra forse lo fa meglio, perché si avvicina, mi stringe un pochino le spalle e mi dice di guardarla. Faccio tanta fatica a guardarla negli occhi, però lei mi parla piano e facile.
Mi dice poche parole, mi capisce un po’. E allora mi calmo. Ma spesso, prima, ho bisogno di mordermi la mano.

Quando viene Erika lo dico anche a lei, eh! “Non vuoi Erikaaa!” E lei mi dice la stessa cosa che mi dice Alessandra.
Lei mi fa leggere e scrivere, perché sono abbastanza bravo e so farlo, Alessandra invece mi fa disegnare, mi fa fare cose con le mani. E poi balliamo.
E quando balliamo sono felice, così tanto che mi mordo le mani!
È difficile, ma lei ha trovato dei video della Play Station, ci sta un bambino che balla e io devo fare uguale.
Quando sbaglio a mettere il piede, mi viene voglia di gridare e Alessandra mi aiuta. Qualche volta mi sgrida perché non sto attento, ma piano piano sto diventando bravo. Facciamo tanti balletti!
Riesco a fare meglio i movimenti, sto più attento nella stanza e la guardo meglio. Di più.
A casa con mamma, papà e mio fratello mi diverto. Mi piace parlare al telefono con papà quando non c’è.
Non mangio tante cose, mi piacciono le cose bianche.

Quando incontro le persone, mi piace chiedergli che macchina hanno. Lo chiedo sempre, ogni volta. Non le guardo molto, quando mi rispondono mi viene voglia di gridare e di mordermi le mani.
Con gli altri bambini mi piace stare, ma alcuni sono più carini e mi abbracciano o mi aiutano quando andiamo in giardino. C’è tanto spazio e mi sento un po’ confuso, come quando vado al centro commerciale.
Sono riuscito anche a fare delle recite a scuola!

Principalmente vivo in un mondo tutto mio, ma non lo fate spesso anche voi?

Pubblicato in: Neuropsicomotricità e passi

Ciao, sono una Neuropsicomotricista!

Quando studiavo all’università, ricordo che mia madre scrisse su un foglio cosa facevo.
Non aveva problemi di memoria, era solo che dire “mia figlia studia terapia della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva“, all’inizio le risultava difficile.
Questo professionista spesso sconosciuto, essere semi-mitologico perché spesso anche confuso con molte altre figure, che fa nella vita? E quindi, io, di cosa mi occupo?
Continua a leggere e te lo spiego, spero nel migliore dei modi per te!

Chi è il TNPEE o Neuropsicomotricista
Oggi siamo riusciti a coniare un termine un po’ più semplice, siamo definiti anche Terapisti dell’età pediatrica. La verità è, per dirla molto brevemente e in parole tanto semplici, che io mi occupo di quasi tutti i disturbi dell’area neuropsichiatrica infantile.
Il TNPEE è un professionista che, a seguito del conseguimento di una laurea (da non confondere quindi con lo psicomotricista), è abilitato ad esercitare la sua professione in strutture pubbliche, convenzionate o privatamente.
Quasi sempre lavora in un’equipe multidisciplinare e, grazie alla sua specificità e dopo un’accurata valutazione del bambino, abilita o riabilita, potenzia e migliora le sue competenze.
La sua sfera di azione principale è nella fascia d’età 0-3 anni. Ti potrebbe capitare un neuropsicomotricista che, per scherzare, ti dica che un bimbo sopra ai 3 anni è vecchio!
Un terapista interviene comunque nell’età evolutiva, a mio parere dopo i 10 anni inizia ad essere non più di molto aiuto, a meno che non si sia specializzato su altri fronti.
Ma veniamo ai dettagli.

Di cosa si occupa
Principalmente il neuropsicomotricista si occupa del corpo e del movimento. Per questo accade che, molte volte, genitori o insegnanti pensino che faccia fare ginnastica ai bambini.
Assolutamente no!
Lavora, oltre che su problemi motori, sia a livello neurologico che non, anche e soprattutto per risolvere problematiche comportamentali e relazionali, per migliorare l’area prassica e visiva, l’area cognitiva e grafico-simbolica.
Chiaramente il lavoro varia a seconda dell’età e del disturbo (autismo, ritardo mentale, sindromi, paralisi cerebrali infantili, adhd, disturbo di linguaggio, disturbo dell’apprendimento, etc).
L’approccio è quasi sempre di tipo ludico, a meno che gli obiettivi non prevedano lavori più tecnici o strutturati da svolgere a tavolino.
Attraverso il corpo (che non è solo movimento), il miglioramento della relazione, il miglioramento dell’attenzione verso se stesso, l’ambiente e l’altro, il potenziamento delle capacità adattive e organizzative e il conseguente potenziamento cognitivo che deriva e che solo il lavoro del neuropsicomotricista per le sue competenze sa dare (anche se altre figure professionali come il logopedista, lo psicologo, il fisioterapista spesso provino a fare il suo lavoro), il bambino sviluppa in maniera armoniosa le sue capacità.

Con chi lavora
Come ti accennavo prima, sperando tu sia arrivato fin quì, il neuropsicomotricista lavora in equipe composta solitamente da neuropsichiatra infantile, logopedista e in molti casi anche dallo psicologo. Qualche volta il terapista occupazionale, raramente c’è un fisioterapista.
Succede che possa lavorare solo con il medico, ad esempio quando il bambino è molto piccolo (primo anno di vita quasi sempre, spesso fino ai 2 anni) o se le dinamiche comportamentali-relazionali sono così compromesse, da non permettere un lavoro più strutturato come può essere, ad esempio, anche quello logopedico.
Successivamente, qualora necessario, si prevede l’introduzione nella quasi totalità dei casi della figura del logopedista che resta da sempre il “miglior collega” del neuropsicomotricista.
Dai 2 anni in su viene inserito nel lavoro multidisciplinare, a meno che non si tratti di disturbi specifici non di sua competenza.

Se sei arrivato fin qui, mi piacerebbe stringerti la mano!
Spero ora tu abbia un’idea un po’ più chiara di chi è il neuropsicomotricista, per qualunque dubbio o domanda puoi scrivermi all’indirizzo passieparole@gmail.com.
Così ti stringo la mano. 🙂